Una riproduzione del Derby di Epsom |
Se avrò un figlio lo chiamerò Derby. Quante volte abbiamo utilizzato la parola Derby, fuori dal contesto ippico. Noi malati di questo sport conosciamo bene il significato del termine, ma fuori dall'ippica, in special modo in Italia dove abbiamo smarrito completamente l'identità ippica nel senso intellettuale del termine, il termine Derby viene utilizzato per una moltitudine di situazioni tanto da far pensare che l'ippica abbia lo preso in prestito e decontestualizzato dall'uso comune. In realtà è l'opposto. Il nostro meraviglioso sport è stata la culla del termine Derby. E pensare che si sarebbe potuto chiamare in un altro modo.. decisamente meno identificativo, ma lo stesso affascinante. Del resto, siamo degli inguaribili romantici legati alle radici e alla storia di questo meraviglioso animale chiamato cavallo da corsa. Le radici sono importanti e Mario Berardelli ci ricorda chi siamo e da dove siamo partiti per arrivare qui, in un luogo dell'anima senza tempo e senza spazio. Le corse dei cavalli. Per concessione del Trotto & Turf del 12 Luglio, numero speciale che vi consigliamo di acquistare in edicola, in occasione del Derby Day! Buona lettura..
Nella foto Diomed, il primo vincitore del Derby di Epsom 1780. |
Derby! Magica parola entrata ormai e da tempo immemorabile nell’uso comune con un significato che è andato ben aldilà delle originali intenzioni e ciò la dice lunga, eccome, sulla enorme importanza che il fenomeno corse e allevamento, ippica in sostanza, ha avuto sulla evoluzione del Costume, della Società e della Cultura nel mondo.
Oggi, a loro insaputa, una infinità di persone usa il termine Derby per indicare qualsiasi accadimento di importanza suprema, scontro diretto risolutivo ed in ogni campo d’azione. E’ derby, nello sport, la partita di calcio di tradizione assoluta, la sfida tra personaggi sportivi per la supremazia definitiva. È Derby, nella vita sociale, politica e di costume, ogni sfida il cui esito cambierà le sorti e la situazione in generale. Davvero quasi mai nella Storia del costume un termine immediato, semplice, facile ha assunto un significato universale quasi cancellando quello originale.
Anni fa chiacchierando con alcuni amici digiuni di corse, ricordavo loro che di li a poche settimane si sarebbe disputato alle Capannelle il derby di galoppo. Uno di loro compiaciuto mi disse … -“Siete stati proprio furbi a dare alla vostra corsa un nome cosi noto e riconoscibile e senza neppure pagare …” Senza saperlo il mio amico ci aveva reso il massimo tributo immaginabile: l’ippica consacrata come maestra di costume e cultura.
Si perché, meglio chiarirlo per la ennesima volta, un termine dalla valenza cosi universale è farina solo del nostro sacco. O meglio della genialità di alcuni ippici inglesi che alla fine degli anni 70 del 1700 ebbero il colpo di genio di inventare la madre di tutte le corse. Anche la zia perché, già che c’erano, crearono anche le Oaks. Dove sta, ippicamente, la assoluta genialità? Nel fatto di riservare la partecipazione a queste due corse (Derby ed Oaks appunto) soltanto ai cavalli (nelle Oaks solo femmine) di tre anni. Una volta sola nella vita, straordinario e di conseguenza ambitissimo. 40 anni dopo arrivarono anche le Ghinee e invece contestualmente fu ideato il St Leger. Parentesi tecnica indispensabile: la autentica selezione, il fine per cui esiste l’ippica e di conseguenza le corse e l’allevamento, si manifesta ovviamente nelle prove intergenerazionali la cui valenza è per forza di cose autentica al massimo. Verissimo ma il fascino è un’altra cosa per cui da quasi 250 anni ogni ippico sogna di vincere il Derby, possibilmente quello di Epsom ma va bene anche quello della propria nazione perché, sia ben chiaro, in ogni parte del mondo si disputa un derby e in Italia domani per la prima volta in luglio. Tanto per mettere i puntini sulle “i”.
Rinfreschiamoci la memoria ma rapidamente. Oaks era il nome della residenza che Edward Smith Stanley, in quell’epoca già dodicesimo Conte di Derby, (la sua grande passione erano i combattimenti dei galli) quindi nobiltà consolidata, possedeva nella zona di Epsom, abbastanza vicino a Londra. Sul nome Oaks le cronache non riportano discussioni ma su quello della corsa suprema per i cavalli di tre anni invece si. In quella conviviale riunione erano presenti in parecchi, tra cui lady Hamilton moglie di Lord Derby, la cronaca lentamente è trasfigurata in leggenda e la cosa ci piace, via ammettiamolo. Anzi, ad ogni racconto ognuno di noi aggiunge qualcosa ma la sostanza è semplice: Lord Derby metteva il pallone come all’oratorio, in questo caso i terreni di sua proprietà, ergo esigeva che alla corsa venisse dato il suo nome, anzi quello della casata, chiaro, breve e semplice. Tutti d’accordo tranne Sir Charles Bunbury, una sorta di pedante ma geniale studioso ippico e non solo, forse (ci piace sia cosi) colui cui si deve la idea iniziale. Anche lui, forse legittimamente, riteneva giusto dare il suo nome alla corsa. Non cedette di un millimetro e cosi alla fine, narra la leggenda, non ci fu altra soluzione che il lancio della monetina che favorì Lord Derby e condanno all’oblio Sir Bunbury.
Qui volendo possiamo dare un contributo di fantasia alla leggenda immaginando, falsamente è chiaro ma è gustoso, che la monetina lanciata in aria dal dodicesimo Conte di Derby avesse solo due teste e nessuna croce, tanto Bunbury era un perdente consueto e neppure di successo…. Già Bunbury ! Vi rendete conto che se avesse avuto soddisfazione noi domani disputeremmo l’ennesimo Bunbury italiano di galoppo e in tutto il mondo, in primis in Inghilterra, si farebbe altrettanto? E del Bunbury Roma-Lazio o Inter-Milan vogliamo parlare? Tranquilli ciò che ora sembra cacofonico in realtà ormai sarebbe consueto e normale dopo 250 anni….. Eh si quello di quest’anno è davvero un Bunbury di ottimo livello, ah quante volte ci saremmo sorpresi a dirlo. Bunbury, Bunbury…. Ma chi era poi costui, novello Carneade? Intanto ha vissuto a lungo che non guasta: nato nel 1740 e scomparso nel 1821. Piano a considerarlo uno zero: è lui ad aver vinto , meraviglia del fato, con Diomed (giubba a strisce bianche e rosa) la prima edizione del Derby e fece anche in tempo a vincere una edizione delle Ghinee. Insomma era uno autentico.
Era un baronetto, il sesto della serie famigliare, è stato un politico, deputato alla Camera dei Comuni. Il babbo era Vicario nel Suffolk, non arriva da li comunque l’essere noioso perché Henry, il fratello, fu un celebrato caricaturista dell’epoca, dunque allegro. Come politico fu di lungo corso, di fatto una quarantina di anni alla Camera sono un buon curriculum anche se i resoconti non ricordano suoi interventi memorabili. Insomma non fu un Disraeli oppure un Gladstone ma non era uno qualunque. Nel nostro mondo fu ovviamente socio e consigliere del Jockey Club, insomma era uno che di ippica capiva eccome. Anche perché amava muoversi e spesso si spostava anche in Francia dove ebbe modo di frequentare il Conte d’Artois (futuro Carlo decimo) e, purtroppo per lui il Duca di Gontaut Biron ( sul quale ci sarebbe da scrivere una storia, lo ha fatto mirabilmente Benedetta Craveri nell’imperdibile Gli Ultimi Libertini).
Purtroppo perché Gontaut Biron fu incallito tombeur des femmes e naturalmente di lui si innamorò anche la moglie di Bunbury ma fu episodio breve e senza conseguenze. Dai suoi viaggi, oltre che cornificato, comunque Bumbury tornò più esperto e con buone relazioni ippiche. La moglie era socialmente sopra standard per lui, in fondo. Lady Sarah era la figlia di Charles Lennox , secondo Duca di Richmond e qui siamo al massimo. Infatti il primo Duca di Richmond era il frutto della relazione adulterina tra Carlo secondo , fresco di restaurazione dopo Crownwell, ed una bellissima dama francese, in realtà una spia (una sorta di Milady) per conto del re di Francia. Carlo comunque si fece carico del figlio nominandolo primo Duca di Richmond ed il secondo fu appunto il padre di lady Sarah che andò in sposa al nostro Sir, cui stiamo volendo sempre più bene, ma che non fu il massimo della fedeltà. Infatti ebbe un figlio dal suo amante, Lord William Gordon. Sir Bunbury lo avrebbe anche generosamente riconosciuto ma Sarah preferì il divorzio (per averlo in Inghilterra hanno fatto uno scisma) e pare che al povero Gordon diede poi una serie nutrita di altri figli (suoi? ammonirebbe Jago ).
Cosi sir Charles Bunbury sposò Margaret Cocksedge ma non ebbero continuatori. D’accordo un personaggio grigio , opaco e pedante (pare che in Parlamento massacrò i colleghi con una relazione interminabile sulla navigazione fluviale o roba simile, inascoltabile), sfortunato anche (non solo per la monetina)non era un piacione ma era uno dei nostri perché non si vince la prima edizione del Derby, pardon del Bunbury, se non si è grandi ippici. Oggi è soltanto un grosso handicap in Inghilterra, che vergogna. Caro vecchio sir Charles Bunbury, da oggi hai un posto privilegiato nei cuori di ogni vero ippico. Viva sir Thomas Charles!
Mario Berardelli
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