La prima pagina della Gazzetta dello Sport del 26 Marzo. |
Ma come, ora la scommessa non viene più considerata d'azzardo? Lo spunto ci arriva dall'edizione odierna della Gazzetta dello Sport, in un articolo a firma di Franco Arturi, che analizza e spiega la differenza tra scommessa e gioco d'azzardo argomentando una questione che ha tenuto tanto banco nel periodo in cui è stato promosso il famoso Decreto Dignità che proibiva la pubblicità, da parte degli assuntori di gioco, sulle scommesse al grande pubblico.
Ora, la questione era passata in secondo piano con la rassegnazione da parte di tutte le società coinvolte, ma tornata prepotentemente d'attualità in quanto la Serie A, che rischia di saltare perdendo tantissimi proventi, potrebbe provare a riprendere i soldi perduti attraverso appunto le sponsorizzazioni che invece erano state proibite.
Il calcio che move il sole e l'altre stelle, diremmo. Noi ippici siamo vaccinati abbondantemente sulla questione e sappiamo perfettamente qual è il limite tra gioco d'azzardo, scommessa ragionata ed intelligente, e ludopatia.
Il calcio italiano sta
studiando ora, proprio ora, la strada
migliore per garantirsi una
ripartenza valida e veloce
non appena si potrà
ritenere conclusa la crisi
dovuta al coronavirus.
Naturalmente le società
dovranno affrontare grossi
problemi di natura
economica e allora verrà
probabilmente chiesto al
governo di cancellare la
norma che, in base al
Decreto Dignità, impedisce
pubblicità e
sponsorizzazioni delle
aziende che operano nelle
scommesse. Un passo
probabilmente decisivo per ripartire. Gli introiti nel 2018 erano stati di 9,1 miliardi, la somma di scommesse sul calcio in Italia che davano all'erario 211 milioni. Senza quello, nel 2019, sono mancati accordi di sponsorizzazione e si parla di -200 milioni.
Per fortuna ci ha pensato Franco Arturi che ha messo un pò di puntini sulle i. Lo trovate, se avete comprato il quotidiano, a pagina 8 e 9. Buona lettura!
Il primo errore, come spesso avviene, deriva dall’ignoranza: confondere la scommessa col gioco d’azzardo. Sono simili come la cultura del vino e l’etilismo, il cibo sano e i disturbi alimentari. La scommessa, in particolare sportiva, prevede studio, competenza, partecipazione, autocontrollo, gioia. È la cosa più lontana dal vizio che possiamo immaginare. E fa parte del mondo dalla notte dei tempi. Il gioco d’azzardo è quasi il suo contrario: una febbre fine a se stessa che spesso divampa negli incendi incontenibili della dipendenza, che sia praticato ai tavoli della roulette o nel rito cupo e compulsivo delle slot machine (queste ultime sì da eliminare sul territorio: parere personale, ma ad alto costo di imposte statali non più incassate).
La pagina della Gazzetta dello Sport che tratta la materia |
Soprattutto per questo, aver proibito la pubblicità dei gestori di scommesse non è stata una buona idea: fa parte in pieno della demagogia. La ludopatia esiste certo, ma non si combatte in questo modo. Qualcuno ha pensato di proibire la pubblicità di vini e liquori anche se il problema dell’etilismo è crescente, in particolare nelle fasce giovanili? Ovviamente no, ed è giusto così, anche senza pensare alle decine di miliardi del suo valore in termini di lavoro e Pil.Iparaventi contro la pornografia sono trasparenti se non risibili, eppure la dipendenza dal sesso esiste. Gli esempi sono tanti, perché tante sono le dipendenze patologiche, che vanno chiamate col loro nome: disturbi della personalità. Rovinarsi col gioco? Lo si poteva fare anche con l’ottocentesco Lotto. E accadeva. Come spesso succede, è stato facile colpire alla cieca il mondo dello sport (per i mancati introiti di quelle sponsorizzazioni) con una misura del tutto inutile: chi è condotto a rovinarsi dalla sua malattia, continua a farlo online, su mille canali ancora apertissimi. Se davvero s’intende confrontarsi con questa materia, occorre entrarci con piedi e mani. E capire. Non è una scommessa puntare su chi e ache minuto otterrà il primo corner, ma azzardo. E va tolta di mezzo questa possibilità.
Ma se punto 10 euro sul risultato di Juve-Inter non commetto crimini né qualcuno può guardarmi con sospetto. Passare una domenica all’aperto, nel verde di un ippodromo, studiare il campo dei partenti e fare una puntata del tutto compatibile con le proprie possibilità, è un modo di star bene, non il suo contrario. La scommessa sportiva è una sfida di tipo intellettuale lanciata a se stessi e agli altri, e basata sulla competenza specifica. Un gioco stimolante.
Non c’è nulla in questa attività che possa ricordare, nemmeno alla lontana, le atmosfere malate del “Giocatore” di Dostoevskij. Del resto, l’ipocrisia resta sovrana in una materia in cui lo Stato da una parte prende una decisione eclatante, quella di proibire la pubblicità dei bookmaker, dall’altro resta biscazziere e incassa tutt’ora lucrose percentuali dal gettito di ogni tipo di gioco e lotteria, comprese le slot machine, di cui l’Italia detiene il record europeo di diffusione: una ogni 143 abitanti, con oltre 100 miliardi (sì, la cifra è esatta) di gioco all’anno. Vogliamo cominciare da lì a fare un po’ d’ordine? Non è mai troppo tardi per guardarsi allo specchio.
Faccio un’affermazione che per alcuni potrebbe sembrare provocatoria: avrebbe un senso profondo semmai incentivare il gusto della scommessa sportiva, che potrebbe avere una rilevanza sociale proprio nello stoppare sul nascere l’insorgere di devianze sull’azzardo. Avrebbe certamente senso educare la gente con campagne adeguate su come scommettere e su quando deve suonare un allarme personale, così come è stato fatto per frenare le stragi del sabato sera e impedire la guida in stato di ebrezza, senza demonizzare un buon bicchiere di vino a pasto o un aperitivo con gli amici. Tutto si può fare con senso della misura e con rispetto: è difficile, ma non impossibile. Una scommessa, appunto. FRANCO ARTURI.
Facciamo seguito a questo articolo con un altro, pubblicato di fianco sullo stesso argomento, sempre dalla Gazzetta a cura di Valerio Piccioni e che vi riproponiamo:
La prima pagina della Gazzetta del 26 Marzo |
Le perdite: Norma che tende a contrastare
il fenomeno della ludopatia e
della dipendenza dal gioco.
Una battaglia socialmente
importante. Ma sulle cui
modalità anche l’Agcom aveva
manifestato molto scetticismo
in una «segnalazione» al
governo. Meglio rafforzare i
vincoli da rispettare che optare
per un divieto totale, puntare
su alcune prescrizioni rigide
senza però cassare tutte le
possibilità di ricavo legali.
Anche perché fra i problemi
generati dal decreto c’è pure il
rischio di un dirottamento di
risorse sul gioco in nero e la
penalizzazione degli operatori
che agiscono correttamente sul
mercato.
Il documento, inviato
proprio nel luglio del 2019,
stimava le perdite dei settori in
cui la norma avrebbe provocato
più danni economici: il calcio
italiano, dal grande club alla
piccola società, dalla
sponsorizzazione della maglia
di gioco alla cartellonistica
intorno al campo di gioco, per
circa 100 milioni, anche se
qualche club (come la
Juventus) ha stretto accordi per
la pubblicità del proprio brand
all’estero; il fronte audiovisivo
per altri 60; l’editoria dei
quotidiani e dei periodici fino
40,8 milioni. Con evidenti
ricaschi anche in termini
occupazionali. Che rischiano di
essere amplificati dall’epoca
tragica che stiamo vivendo nei
giorni del coronavirus. Nella
stessa analisi dell’Agcom si
parlava anche del fatto che solo
una minima parte, meno di
uno scommettitore su cinque,
arriva al gioco attraverso la
pubblicità.
Dodici miliardi l’anno: Il pronunciamento dell’Agcom
metteva in evidenza la contraddizione fra «gioco legale»,
che assicura allo Stato introiti
importanti, e «divieto di pubblicità». Il contesto è ora cambiato perché ai danni per i ricavi mancati si aggiunge anche la
sospensione totale dell’attività
di un settore, azzerata visto lo
stop di tutti gli eventi. Nel 2018,
tanto per dare un’idea, sono
stati spesi 12,1 miliardi di euro
per le scommesse sportive: 9,1
per il calcio, con un gettito per
l’erario di 211 milioni di euro.
Mutuo soccorso:
È chiaro che si tratta di cifre
che non saranno neanche minimamente avvicinate nel
2020. Probabilmente nel tentativo di ricreare un mercato ci
sarebbe la possibilità di investimenti pubblicitari ora proibiti.
Da qui la proposta della Lega di
Serie A. Una sorta di mutuo
soccorso fra due comparti, fra i
tanti per la verità in questo
contesto drammatico, che rischiano di non riuscire a rimettersi in carreggiata. Il problema è quello di trovare uno
spazio fra l’esigenza di combattere il gioco compulsivo e quella di poterlo fare con strumenti
diversi.
Tenuta: Il tema delle scommesse è stato
oggetto anche di alcuni interventi normativi, dallo scorso
primo giugno c’è la proibizione
delle scommesse per i campionati giovanili di tutte le discipline. Ma questo genere di interventi nonèin contrasto,
questo il ragionamento delle
società, con la necessità di cancellare un divieto che danneggia anche la «competitività»,
pure questo argomento citato
dall’Agcom, dei club italiani in
Europa. E che pesa su tutta la
tenuta del sistema calcio.
La sorpresa: E se il futuro fosse
il nuovo Totocalcio?
Idea Lega-Figc. Trovata nostalgica o
possibilità di inventare un format vincente per il futuro?
Ancora una volta si
parla di Totocalcio.
Pasolini: Una parola che ricorda il passato miliardario (c’erano ancora le lire al tempo) di un gioco
che teneva in piedi l’intero sistema sportivo italiano e che
entrò nel costume della vita
degli italiani. La schedina finì
nei film e nei romanzi. Pierpaolo Pasolini fu fra i primi vincitori e lo raccontò così alla
mamma: «Pensa che l’altra domenica ho fatto un 12 al Totocalcio... e ho vinto solo 4000 lire. Le nostre fortune». Ma il
Totocalcio potrebbe essere anche un futuro in cui servirebbe
una nuova fonte di finanziamento per un calcio che rischia
di ripartire con le ossa rotte travolto dalla tragedia del coronavirus.
Il progetto, meglio dire l’idea, fa parte del promemoria
che probabilmente nella seconda fase, quella della ripartenza, il calcio italiano porterà
all’attenzione del governo. Passato e futuro sì, presente no, visto che oggi il Totocalcio con i
suoi 17 milioni raccolti nell’ultima stagione, è una sigla ormai fuori dall’immaginario popolare, schiantato negli ultimi
anni dalla liberalizzazione delle scommesse.
Finito? Non ancora: Nello scorso dicembre, inserito
nella legge di stabilità che aveva
cambiato il sistema sportivo
italiano con la nascita di Sport
e salute, il Totocalcio sembrava
vicino alla fine. Visto il testo
della Finanziaria si era addirittura celebrato il suo funerale.
Ma l’allora sottosegretario con
la delega allo sport Giancarlo
Giorgetti aveva stoppato questa
interpretazione: non vogliamo
cancellare il Totocalcio, al contrario, rilanciarlo. E così l’Agenzia dei Monopoli e delle
Dogane si era messa al lavoro
per definire un piano di rilancio e un nuovo format. Si era
studiato una specie di gioco a
due anime, con una schedina
fatta di pronostici classici ma
anche di meccanismi collegati
alla dinamica della scommessa
sportiva.
Ora, però, l’idea sarebbe diver sa. Sarebbe il calcio, inteso come Federazione o Lega, il titolare del gioco. “Affittando” il
brand Totocalcio o inventandone uno nuovo. E utilizzando, a
pagamento, la rete dei concessionari attuali. Un progetto tutto da scrivere. Anche perché è
da verificare il potenziale appeal di un nuovo gioco e la sua
capacità di produrre proventi
in un sistema dove ormai i
montepremi possono contare
su percentuali molto alti. Che
margini ci sono? In ogni caso,
precisano negli ambienti calcistici, il vecchio-nuovo gioco ha
l’aspirazione di produrre risorse aggiuntive e non di rosicchiare una fetta più o meno
grande della torta delle scommesse. Insomma, il Totocalcio
prova per l’ennesima volta a ripartire. Sarà la volta buona?
VALERIO PICCIONI
VALERIO PICCIONI
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