A tutto Arc de Triomphe. In tutto il mondo si sprecano gli articoli ed interviste ai protagonisti dell'edizione 2019, alla ricerca di qualcosa che nessuno ha mai sentito a parte le solite parole di circostanza.
Nel dettaglio abbiamo copiato ed incollato un articolo del Corriere della Sera, a firma di Luigi Ferrarella, inviato a Parigi per l'occasione.
Nel dettaglio abbiamo copiato ed incollato un articolo del Corriere della Sera, a firma di Luigi Ferrarella, inviato a Parigi per l'occasione.
Nell'intervista si è parlato dei vari viaggi andata e ritorno nella carriera del jockey, degli inizi della sua carriera, delle profezie dei colleghi e del suo essere sopravvissuto ad uno schianto aereo costato la vita ai piloti, ma non a lui, fino ad arrivare all'Arc edizione 2019.
Come se Pelé avesse profetizzato a Maradona giovane che, tanto, non sarebbe mai diventato un grande calciatore. Ma davvero il leggendario jockey Lester Piggot disse così all’allora allievo fantino Lanfranco Dettori? «Avevo 15 anni e in Inghilterra, visto che iniziavano a paragonarmi a lui, un giorno disse: “Ma non avete visto che manone che ha? Non diventerà mai un fantino!”. Poi le “zampe” mi sono rimaste grosse, ma per fortuna io sono rimasto piccolo...».
Piggot decisamente si sbagliò: a quasi 49 anni (35 da jockey in Inghilterra), Dettori su oltre 3500 successi detiene il record di 666 Gran Premi in 24 Paesi, di cui addirittura 248 di «gruppo uno». Si é librato sino a vincere tutte e 7 le corse di Ascot il 28 settembre 1996, ed è sprofondato in tv sino all’edizione inglese del Grande Fratello Vip. Ha sbriciolato ogni genere di record e fratturato 10 ossa, fatto vincere ai suoi cavalli oltre 100 milioni, siglato già 6 «Prix de l’Arc de Triomphe»: e domenica a Parigi in sella all’inglese Enable (a segno nel 2017 e nel 2018) cercherà il tris consecutivo mai riuscito ad alcuno in un secolo di storia della più prestigiosa corsa del mondo (ore 16.05).
A 14 anni la spedì in Inghilterra suo padre fantino, Gianfranco. Col senno di poi fu la sua fortuna. Ma all’epoca l’hai mai odiato?
«Io, ai miei 5 figli, non riuscirei a fare una cosa simile. Ma erano altri tempi. Fu tremendo. Non sapevo una parola d’inglese, non conoscevo nessuno, nel 1985 un italiano era solo “l’emigrante”: io ero l’escluso, senza amici, vittima dei bulli. Tante notti piangevo. Poi mi sono fatto coraggio. E iniziare a vincere aiuta sempre, ti fa diventare amici i nemici...».
Chi è il fantino più bravo?
«Quello che fa meno errori. Non vinci sul traguardo, ma sul percorso che dai al cavallo se diventi tutt’uno con lui. E lui lo sente».
Cosa sente?
«Sente se il fantino ha problemi a casa, se è arrabbiato, se è sereno. E dalla testa, ciò che il fantino ha in testa passa giù giù attraverso le braccia, e va a finire al cavallo».
Il suo errore più grande?
«Nel 1999 negli Stati Uniti quando con Swain persi la «Breeders’ Cup Classic»: mi feci prendere dal panico di stare per essere raggiunto. E usai troppo la frusta».
Come si fa a non farsi schiacciare dalla pressione?
«Studio la corsa prima sui video, poi me la sogno e risogno di notte, nella mia mente ogni mossa di uno innesca quelle degli altri. E poi però uso la spontaneità dell’istante: perché quasi mai la gara si sviluppa come l’immaginavi... Domani, due ore prima dell’Arc, avrò l’angoscia. Ma poi, quando scenderemo in pista, e sentirò l’odore dell’erba e la tensione della gente, e verrà il momento della sfilata davanti a tribune stracolme, wow! è come i Rolling Stones quando escono sul palco! Il giorno in cui non senti più la saliva azzerarsi in bocca, devi smettere».
Ha dovuto smettere sei mesi nel 2012, squalificato per positività alla cocaina.
«Ha presente quando uno è mollato dalla moglie e piomba nel buio? Ecco, mi aveva mollato senza motivo il nuovo trainer di «Godolphin» (la scuderia dello sceicco del Dubai, che poi vedrà proprio lo sgomitante Mahmood Al Zarooni radiato per colossali doping, ndr). Ci sono stato male. E a un party ho fatto una cavolata».
Son passati 19 anni ma non parla volentieri dell’elicottero precipitato in fiamme, da cui fu salvato dal fantino Ray Cochrane.
«Per due anni non sono più stato la stessa persona. Ti continui a fare delle domande. ti chiedi perché non sei morto tu e altri sì. Ti domandi perché è successo».
Lanfranco “Frankie” Dettori non ha vinto tutto al mondo: manca il Premio Parioli proprio in patria...
«Daiii, non me lo ricordi, sarò arrivato secondo tre o quattro volte. E anche la Melbourne Cup: così i parenti di mia moglie, che sono australiani, la finiranno di prendermi in giro…»
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