Una data nella storia. Oggi, 2 Ottobre di 30 anni fa, un episodio che cambiò il destino dei successi italiani all'estero. Tony Bin (Kampala), 5 anni, riuscì nell'impresa di vincere l'Arc de Triomphe G1 con John Reid in sella per il training di Luigi Camici ed i colori della White Star di Luciano Gaucci.
Ripercorriamo le tappe di quella epopea attraverso un paio di documenti. Una intervista che abbiamo realizzato al Sor Luigi qualche anno fa, e poi attraverso un articolo a firma di Sandro Cepparulo e Michele Ferrante pubblicato sulla Gazzetta dello Sport nel 2000, quando Tony Bin si spense a causa di un attacco di cuore mentre faceva lo stallone in Giappone. IL VIDEO QUI. INTERVISTA CLICCANDO SU QUESTO LINK.
A 30 anni da quella impresa, chissà che l'allevamento, i colori, ed un pò di italianità non riescano a fare un'altra impresa nell'edizione 2018. Le premesse ci sono.. Intanto celebriamo questo evento che ci fa venire la pelle d'oca ancora a distanza di anni, e poi ripercorriamo la sua storia.. buona lettura.
A 30 anni da quella impresa, chissà che l'allevamento, i colori, ed un pò di italianità non riescano a fare un'altra impresa nell'edizione 2018. Le premesse ci sono.. Intanto celebriamo questo evento che ci fa venire la pelle d'oca ancora a distanza di anni, e poi ripercorriamo la sua storia.. buona lettura.
Nato in Irlanda nel 1983 nell' allevamento di P.J.B. O' Callaghan, Tony Bin passò all' asta di Goff's Sale di Dublino nell' ottobre dell'anno successivo «trovando» un prezzo di 3.000 ghinee (circa 7 milioni) dall'italiana «White Star» di Luciano Gaucci. Ad acquistarlo materialmente fu il veterinario Giampiero Brotto, amico, consulente e «mente» di quella che al tempo era una delle formazioni più lanciate dell' ippica italiana. Brotto fu colpito dalla robustezza, dallo sguardo attento, dalla perfetta simmetria di quel puledro di taglia media. Il prezzo modesto era giustificato da un padre, Kampala, già svenduto dagli irlandesi in Nuova Zelanda dopo una carriera di appena 8 corse, tutte fra i 1000 e i 1600 metri. In realtà, come nipote di Zeddaan, Kampala risaliva a Nearco. Fin qui la cronaca asciutta dell' inizio di un' avventura forse irripetibile che avrebbe trasformato quel puledro onesto al quale l' allevatore - come si usa nei Paesi anglosassoni - non aveva ancora dato un nome, nell' ultimo mito del nostro galoppo e non solo. Al nome provvide lo stesso Gaucci quando, di ritorno dall' Irlanda, passò a Parigi e si trovò al Louvre accanto a un vecchio pittore che stava terminando un' imitazione della Gioconda. Quell' uomo cadente, logoro, affranto si chiamava Tony Bin ed era veneto. Lo invitò a casa sua, in una soffitta, e gli chiese un milione e mezzo di quel quadro vissuto. Gaucci ribassò a un milione, si portò via il quadro e un immenso rimpianto: aver quasi «sottratto» quel mezzo milione.
Rientrato in Italia chiamò il puledro come quell' antico, esiliato pittore. Poi, tre anni dopo, nel giorno del vittorioso Arc gli venne incontro un uomo alto e ricciuto: «Sono il figlio di Tony Bin, mio padre è morto in febbraio». Fu la grande amarezza di un giorno, il 2 ottobre 1988, indimenticabile per il nostro galoppo. Un evento atteso dal 1961, quando Molvedo passò vittorioso in una corsa che è la summa dell' intera annata agonistica europea e rende imperiosamente grande chi la domina. Ancora di più se, come Tony Bin, quella corsa l' hai sfiorata l' anno prima finendo secondo e avendo poi la forza, l' audacia e i polmoni di ritentare vincendo per prenderti la rivincita sul favorito: Mtoto. Quell' anno fu l' ultimo dei 4 della carriera di Tony Bin, che dopo l' Arc corse da favoritissimo il milanese Jockey Club, ma non riuscì a dare la gioia ai 12 mila di S. Siro, come nella stagione precedente. Le offerte dall'estero convinsero Gaucci a mandare il cavallo alla Japan Cup (dove finì 5° per una distorsione su un terreno troppo duro per lui) e dal Giappone non rientrò più, venduto a Zenya Yoshida per 3 milioni e mezzo di dollari, circa 5 miliardi. Un moltiplicatore gigantesco: dai 7 milioni dell' acquisto a 8,4 miliardi, perché al prezzo di vendita vanno uniti i 3,4 miliardi (il record per un purosangue italiano) di somme vinte nelle 27 corse (15 vittorie) disputate.
Ma quella di Tony Bin è una vicenda di cavalli e di uomini, dove il danaro ha la sua parte, ma non fondamentale. Un accessorio di fronte alla gloria. Basti pensare all' avvio di carriera avvenuto nel settembre del 1985 a Capannelle. Un successo a cui ne seguì un altro, nel «Rumon», e poi il tentativo nel classico Gran Criterium dove Tony Bin non doveva essere che l' «aiutante in campo» di Alex Nureyev, il campione «presunto» di scuderia. Forse a malincuore l' allenatore Luigi Camici, tecnico di capacità antiche e di eccezionale umanità, lo mandò a distruggere il favorito Ozopulmin: missione compiuta, ma di Alex (finito 8°) neppure l' ombra. Mentre Tony Bin dopo una corsa che avrebbe asciugato i polmoni a chiunque era ancora terzo. Sandro Cepparulo Luigi Polito e il campione Vivere e galoppare insieme Uomini, tanti uomini nella sfolgorante avventura di Tony Bin. Luciano Gaucci e famiglia, Luigi Camici e famiglia, Giampiero Brotto e famiglia, Zenya e Teruja Yoshida più famiglie. E poi la gente, tanta gente festante sulle balconate degli ippodromi: Roma, Milano, Ascot, Parigi, St. Cloud, Tokio.
E come dimenticare i fantini? Dai francesi Henry Samani, Marcel Depalmas e Michel Jerome, ai nostri Lucio Ficuciello e Gianfranco Dettori, agli americani Steve Cauthen e Cash Asmussen, agli inglesi Walter Swinburn jr, Pat Eddery e John Reid, quello del grande giorno di Longchamp. Tanti che si rischia di trascurarne uno piccolo e nascosto, ma anche così importante da essere il «cuore nel cuore» di Tony Bin. Luigi Polito da Napoli, ieri mattina era il più felice del mondo per la sua Janestra, vittoriosa domenica a Capannelle nel «Tadolina», ma subito la giornata è cambiata: era morto Tony Bin, campione e compagno, anche se assieme sul programma di corse non andarono mai una volta. Fantino del mattino, o «worker jockey» come si dice nel galoppo americano, una sorta di «attore fuori scena», quasi come Tony Bin lo era stato all' inizio della carriera per conto del presto appassito Alex Nureyev. Due anime che si incontravano a meraviglia, speculari e affiatate quanto solo loro sapevano. Anni indimenticabili assieme, da quando, dopo il 4° posto nel Derby, Luigi Camici e il veterinario Brotto decisero di affidare il «fuori corsa» a un fantino solo 20enne e senza pedigree, ma con la seria voglia di imparare. Così Luigi Polito salì in sella a quel cavallo pieno di temperamento e non ne scese più. Con il curioso retroscena che per il pubblico quel nome non esisteva proprio. «Era una persona di famiglia. Buono, forte, coraggioso. Abbiamo sempre lavorato assieme, anche per preparare il secondo e ultimo Arc, e per lui io ho smesso di montare in corsa quasi una stagione. Sono andato dove andava lui, in Italia e all' estero, e non ho rimpianti. In fondo non apparire quando vivi un' avventura così intensa, non è poi tanto doloroso. Magari ci pensi un poco, ma sai di essere importante lo stesso». A dire il vero ci fu un giorno che Luigi Polito stava per farcela, stava per montare davvero in corsa quel cavallo che conosceva meglio del salotto di casa sua. «Fu nel settembre del 1988 quando Tony Bin, ripreparato dopo il 3° posto nelle King George, doveva correre il "Tesio" a S. Siro e non si trovava un fantino di assoluto livello tecnico libero da impegni in quel giorno. Mi si aprì uno spiraglio e so che pensarono a me. In fondo chi lo conosceva meglio? Ma arrivò John Reid. Vinsero e in coppia fecero anche l' Arc. Io fui contento lo stesso. Era davvero uno di famiglia». IL RICORDO DELL' ALLENATORE Camici affranto:«Ho perso il cavallo della mia vita» Il «sor Luigi» non ha dubbi: «Il più forte e intelligente che abbia mai allenato. La vittoria nell' Arc la gioia più grande, le sconfitte nel Jockey Club e nella Japan Cup ' 88 le amarezze» Di Tony Bin ormai sapeva poco: qualche occasionale notizia dal Giappone, l' ultima recapitatagli da Mirco Demuro al ritorno dal suo stage asiatico: «Tutto bene - aveva detto - e tanti saluti dalla famiglia Yoshida». Ora, all' improvviso, Luigi Camici è costretto a ricordare un amico che non c' è più: «Un amico, un figlio. Fate voi. Io so solo di aver perso il cavallo della mia vita: in senso sportivo perché mi ha regalato le gioie più grandi, ma anche in senso affettivo. Era buono e forte. Ma soprattutto intelligente, come solo i grandi campioni sanno essere».
Di quel cavallo arrivato nelle sue scuderie mischiato nel gruppo, il 73enne allenatore ricorda tutto: «Modello, non appariscente ma proporzionato. Sapeva galoppare». A 2 anni, nel 1985, viene impegnato come gregario del più stimato e costoso Alex Nureyev: «Tony Bin si ritagliò presto una fetta di considerazione in scuderia. C' era anche Alex Nureyev, pensavamo potesse affermarsi prima anche per una genealogia più importante. Tony Bin però non scese mai in pista come battistrada». Nel 1986 la svolta. Camici capisce cosa ha davvero dentro Tony Bin: «Arrivò quarto nel Derby, malgrado avesse galoppato addosso a un avversario. Un vero miracolo. Dissi al signor Gaucci che quel cavallo aveva tanta stoffa. Rientrò in autunno, fini terzo nell' "I- talia" perché corse sciaguratamente in testa, una tattica che non sopportava. Poi fu secondo di Antheus nel Jockey Club». 1987. Le prime gioie vere: «Ormai era il Tony Bin che avevo in mente: cambio di marcia terrificante e una freddezza da brividi. Infilammo una splendida tripletta: Ellington e Presidente a Toma, poi il Milano». Seguì il secondo posto a St. Cloud, nel Gran Premio, e la sciagurata missione ad Ascot nelle King George, sempre con in sella Michel Jerome: «All' aeroporto inglese, Tony Bin fu vittima di una caduta: un pezzo di vetro gli procurò una ferita larga, perse litri di sangue. Lo recuperammo in fretta, ma in corsa non ci fu nulla da fare anche se lottò come un leone». Meritato quindi il primo tentativo nell' Arc de Triomphe a Parigi, con in sella Cash Asmussen: «Fu straordinario. Purtroppo Trempolino ne anticipò la progressione. Ci rifacemmo nel Jockey Club, poi la brutta sconfitta nel Roma. Avevano tutti paura che Tony non tenesse i 2800 metri e frastornarono Asmussen che non ci capì più nulla e si fece beffare da Orban». 1988. L' anno della gloria. «Tagliato» Asmussen, arriva Pat Eddery che vince ancora Presidente e Milano. Poi le King George. Tony Bin è terzo: «Eddery si è fatto chiudere. Mtoto, che aveva iniziato la sua corsa su Tony Bin, riuscì a sfuggirgli». Via Eddery. Arriva John Reid, l' uomo della provvidenza: «Volevamo l' Arc, sapevamo che Tony Bin avrebbe potuto vincere. Lo preparammo a San Siro nel Tesio, a Parigi mi regalò la gioia più bella. Quando lo vidi cambiare marcia ai 300 finali mi vennero i brividi. Quella volta Mtoto restò dietro». La carriera di Tony Bin finisce purtroppo con le due maggiori amarezze per Camici: «Perse il Jockey Club da Roakarad. Lo affidammo a Dettori. Forse Gianfranco sentì la responsabilità e si fece intrappolare in una corsa con poco ritmo. Senza contare che Carrol House gli galoppò addosso». Infine la Japan Cup. A Tokio, Tony Bin era già stato venduto agli Yoshida, ma corse ancora con la giubba di Gaucci: «Abbassai il binocolo all' ingresso in retta. Tony Bin era pronto a spiccare il volo, se li sarebbe mangiati tutti. Invece si afflosciò senza progredire. Capimmo il perché dopo: una storta accusata proprio nel momento cruciale. Una maledetta sfortuna». Come quella che venerdì gli ha portato via la vita.
Rientrato in Italia chiamò il puledro come quell' antico, esiliato pittore. Poi, tre anni dopo, nel giorno del vittorioso Arc gli venne incontro un uomo alto e ricciuto: «Sono il figlio di Tony Bin, mio padre è morto in febbraio». Fu la grande amarezza di un giorno, il 2 ottobre 1988, indimenticabile per il nostro galoppo. Un evento atteso dal 1961, quando Molvedo passò vittorioso in una corsa che è la summa dell' intera annata agonistica europea e rende imperiosamente grande chi la domina. Ancora di più se, come Tony Bin, quella corsa l' hai sfiorata l' anno prima finendo secondo e avendo poi la forza, l' audacia e i polmoni di ritentare vincendo per prenderti la rivincita sul favorito: Mtoto. Quell' anno fu l' ultimo dei 4 della carriera di Tony Bin, che dopo l' Arc corse da favoritissimo il milanese Jockey Club, ma non riuscì a dare la gioia ai 12 mila di S. Siro, come nella stagione precedente. Le offerte dall'estero convinsero Gaucci a mandare il cavallo alla Japan Cup (dove finì 5° per una distorsione su un terreno troppo duro per lui) e dal Giappone non rientrò più, venduto a Zenya Yoshida per 3 milioni e mezzo di dollari, circa 5 miliardi. Un moltiplicatore gigantesco: dai 7 milioni dell' acquisto a 8,4 miliardi, perché al prezzo di vendita vanno uniti i 3,4 miliardi (il record per un purosangue italiano) di somme vinte nelle 27 corse (15 vittorie) disputate.
Ma quella di Tony Bin è una vicenda di cavalli e di uomini, dove il danaro ha la sua parte, ma non fondamentale. Un accessorio di fronte alla gloria. Basti pensare all' avvio di carriera avvenuto nel settembre del 1985 a Capannelle. Un successo a cui ne seguì un altro, nel «Rumon», e poi il tentativo nel classico Gran Criterium dove Tony Bin non doveva essere che l' «aiutante in campo» di Alex Nureyev, il campione «presunto» di scuderia. Forse a malincuore l' allenatore Luigi Camici, tecnico di capacità antiche e di eccezionale umanità, lo mandò a distruggere il favorito Ozopulmin: missione compiuta, ma di Alex (finito 8°) neppure l' ombra. Mentre Tony Bin dopo una corsa che avrebbe asciugato i polmoni a chiunque era ancora terzo. Sandro Cepparulo Luigi Polito e il campione Vivere e galoppare insieme Uomini, tanti uomini nella sfolgorante avventura di Tony Bin. Luciano Gaucci e famiglia, Luigi Camici e famiglia, Giampiero Brotto e famiglia, Zenya e Teruja Yoshida più famiglie. E poi la gente, tanta gente festante sulle balconate degli ippodromi: Roma, Milano, Ascot, Parigi, St. Cloud, Tokio.
E come dimenticare i fantini? Dai francesi Henry Samani, Marcel Depalmas e Michel Jerome, ai nostri Lucio Ficuciello e Gianfranco Dettori, agli americani Steve Cauthen e Cash Asmussen, agli inglesi Walter Swinburn jr, Pat Eddery e John Reid, quello del grande giorno di Longchamp. Tanti che si rischia di trascurarne uno piccolo e nascosto, ma anche così importante da essere il «cuore nel cuore» di Tony Bin. Luigi Polito da Napoli, ieri mattina era il più felice del mondo per la sua Janestra, vittoriosa domenica a Capannelle nel «Tadolina», ma subito la giornata è cambiata: era morto Tony Bin, campione e compagno, anche se assieme sul programma di corse non andarono mai una volta. Fantino del mattino, o «worker jockey» come si dice nel galoppo americano, una sorta di «attore fuori scena», quasi come Tony Bin lo era stato all' inizio della carriera per conto del presto appassito Alex Nureyev. Due anime che si incontravano a meraviglia, speculari e affiatate quanto solo loro sapevano. Anni indimenticabili assieme, da quando, dopo il 4° posto nel Derby, Luigi Camici e il veterinario Brotto decisero di affidare il «fuori corsa» a un fantino solo 20enne e senza pedigree, ma con la seria voglia di imparare. Così Luigi Polito salì in sella a quel cavallo pieno di temperamento e non ne scese più. Con il curioso retroscena che per il pubblico quel nome non esisteva proprio. «Era una persona di famiglia. Buono, forte, coraggioso. Abbiamo sempre lavorato assieme, anche per preparare il secondo e ultimo Arc, e per lui io ho smesso di montare in corsa quasi una stagione. Sono andato dove andava lui, in Italia e all' estero, e non ho rimpianti. In fondo non apparire quando vivi un' avventura così intensa, non è poi tanto doloroso. Magari ci pensi un poco, ma sai di essere importante lo stesso». A dire il vero ci fu un giorno che Luigi Polito stava per farcela, stava per montare davvero in corsa quel cavallo che conosceva meglio del salotto di casa sua. «Fu nel settembre del 1988 quando Tony Bin, ripreparato dopo il 3° posto nelle King George, doveva correre il "Tesio" a S. Siro e non si trovava un fantino di assoluto livello tecnico libero da impegni in quel giorno. Mi si aprì uno spiraglio e so che pensarono a me. In fondo chi lo conosceva meglio? Ma arrivò John Reid. Vinsero e in coppia fecero anche l' Arc. Io fui contento lo stesso. Era davvero uno di famiglia». IL RICORDO DELL' ALLENATORE Camici affranto:«Ho perso il cavallo della mia vita» Il «sor Luigi» non ha dubbi: «Il più forte e intelligente che abbia mai allenato. La vittoria nell' Arc la gioia più grande, le sconfitte nel Jockey Club e nella Japan Cup ' 88 le amarezze» Di Tony Bin ormai sapeva poco: qualche occasionale notizia dal Giappone, l' ultima recapitatagli da Mirco Demuro al ritorno dal suo stage asiatico: «Tutto bene - aveva detto - e tanti saluti dalla famiglia Yoshida». Ora, all' improvviso, Luigi Camici è costretto a ricordare un amico che non c' è più: «Un amico, un figlio. Fate voi. Io so solo di aver perso il cavallo della mia vita: in senso sportivo perché mi ha regalato le gioie più grandi, ma anche in senso affettivo. Era buono e forte. Ma soprattutto intelligente, come solo i grandi campioni sanno essere».
Di quel cavallo arrivato nelle sue scuderie mischiato nel gruppo, il 73enne allenatore ricorda tutto: «Modello, non appariscente ma proporzionato. Sapeva galoppare». A 2 anni, nel 1985, viene impegnato come gregario del più stimato e costoso Alex Nureyev: «Tony Bin si ritagliò presto una fetta di considerazione in scuderia. C' era anche Alex Nureyev, pensavamo potesse affermarsi prima anche per una genealogia più importante. Tony Bin però non scese mai in pista come battistrada». Nel 1986 la svolta. Camici capisce cosa ha davvero dentro Tony Bin: «Arrivò quarto nel Derby, malgrado avesse galoppato addosso a un avversario. Un vero miracolo. Dissi al signor Gaucci che quel cavallo aveva tanta stoffa. Rientrò in autunno, fini terzo nell' "I- talia" perché corse sciaguratamente in testa, una tattica che non sopportava. Poi fu secondo di Antheus nel Jockey Club». 1987. Le prime gioie vere: «Ormai era il Tony Bin che avevo in mente: cambio di marcia terrificante e una freddezza da brividi. Infilammo una splendida tripletta: Ellington e Presidente a Toma, poi il Milano». Seguì il secondo posto a St. Cloud, nel Gran Premio, e la sciagurata missione ad Ascot nelle King George, sempre con in sella Michel Jerome: «All' aeroporto inglese, Tony Bin fu vittima di una caduta: un pezzo di vetro gli procurò una ferita larga, perse litri di sangue. Lo recuperammo in fretta, ma in corsa non ci fu nulla da fare anche se lottò come un leone». Meritato quindi il primo tentativo nell' Arc de Triomphe a Parigi, con in sella Cash Asmussen: «Fu straordinario. Purtroppo Trempolino ne anticipò la progressione. Ci rifacemmo nel Jockey Club, poi la brutta sconfitta nel Roma. Avevano tutti paura che Tony non tenesse i 2800 metri e frastornarono Asmussen che non ci capì più nulla e si fece beffare da Orban». 1988. L' anno della gloria. «Tagliato» Asmussen, arriva Pat Eddery che vince ancora Presidente e Milano. Poi le King George. Tony Bin è terzo: «Eddery si è fatto chiudere. Mtoto, che aveva iniziato la sua corsa su Tony Bin, riuscì a sfuggirgli». Via Eddery. Arriva John Reid, l' uomo della provvidenza: «Volevamo l' Arc, sapevamo che Tony Bin avrebbe potuto vincere. Lo preparammo a San Siro nel Tesio, a Parigi mi regalò la gioia più bella. Quando lo vidi cambiare marcia ai 300 finali mi vennero i brividi. Quella volta Mtoto restò dietro». La carriera di Tony Bin finisce purtroppo con le due maggiori amarezze per Camici: «Perse il Jockey Club da Roakarad. Lo affidammo a Dettori. Forse Gianfranco sentì la responsabilità e si fece intrappolare in una corsa con poco ritmo. Senza contare che Carrol House gli galoppò addosso». Infine la Japan Cup. A Tokio, Tony Bin era già stato venduto agli Yoshida, ma corse ancora con la giubba di Gaucci: «Abbassai il binocolo all' ingresso in retta. Tony Bin era pronto a spiccare il volo, se li sarebbe mangiati tutti. Invece si afflosciò senza progredire. Capimmo il perché dopo: una storta accusata proprio nel momento cruciale. Una maledetta sfortuna». Come quella che venerdì gli ha portato via la vita.
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