Alberto Lizza era nato a Roma, 75 o 76 anni fa, era figlio di un importante funzionario della Gendarmeria Vaticana, ha lavorato, fino alla pensione anticipata, nell’Ufficio estero di un’Agenzia del Banco di Santo Spirito, abitava in Via Po.
Ha sempre rifiutato di fare carriera nella Banca per non fare straordinari e per avere la massima libertà di scegliere le ferie: Cheltenham, e Ghinee, il Derby, il Royal Ascot, le King George, Deauville d’Estate (camminava sulla spiaggia, non sulle planches, per ore perché diceva di avere problemi alle gambe) e l’Arc de Triomphe.
Se Alberto non entrava in quegli ippodromi in quelle giornate di corse le Autorità non davano inizio alle danze. E’ stato tra i primi soci dell’A.N.G.I. (Associazione Nazionale dei Giovani Ippici), fondata nel 1970.
Passava il suo tempo libero, a Roma, a leggere lo Sporting Life, cui era abbonato e che gli arrivava con una settimana di ritardo: non gli sfuggiva nemmeno una riga.
Era al corrente di tutto, ippicamente parlando, politicamente era di destra, una destra per bene, quella che non c’è più, e litigavamo parecchio avendo io idee diametralmente opposte.
In senso buono era “strano: era pieno di fisime.
Un titolo di un giornale, che era poi lo Sporting Life, che alle 10 di sera si andava a prendere, fresco di stampa, a Piccadilly, che metteva in una certa luce un cavallo piuttosto che in un’altra, lo mandava su tutte le furie e diceva che quell’articolista era un “gelataro”.
La ”dava storta”, se poteva, a tutti, perché voleva essere il solo a gridare nell’ippodromo se il cavallo sul quale aveva scommesso vinceva.
L’anno in cui Orange Bay (Canisbay), allenato da Peter Walwyn, vinse le Hardwicke Stakes, Gr-2, al Royal Ascot, era il 1976, e la vigilia, Alberto, con il quale dividevo la meravigliosa camera, trascorse gran parte della notte a dissuadermi dal mettere il mio denaro sul cavallo dei Signori Vittadini.
Eravamo scesi al Grosvenor House, a Park Lane, a Londra, perché la mitica agenzia Thomas Cook a noi soci dell’A.N.G.I. trovava prezzi fantastici, e poi c’era il contributo dell’U.N.I.R.E. di Guido Berardelli, che ha permesso a centinaia di giovani di viaggiare sia in Francia sia in Inghilterra, e tanti sono diventati Commissari, giornalisti, dirigenti ippici, etc. o sono restati semplici appassionati, fini conoscitori delle cose ippiche, come Alberto Lizza.
Il giorno dopo, dall’alto della tribuna del vecchio Ascot, vidi un pazzo furioso che indossava un perfetto morning dress con il cilindro d’ordinanza, correre gli ultimi duecento metri più forte di Orange Bay, che aveva puntato allegramente, e per fortuna io non mi feci “stortare”.
Nel 1977, sempre durante il Royal Ascot, nelle King’s Stand Stakes, Gr-1, avevo fatto la scommessa più forte della mia vita, avevo scelto Godswalk (Dancer’s Image), di proprietà di Robert Sangster, allenato da Vincent O’Brien e montato da Lester Piggott, abbondantemente odds – on (4/7).
Lizza aveva puntato Girl Friend (Birdbrook), montata da Alain Lequeux, che perse la frusta in prossimità del palo: Alberto non mi perdonò mai quella vittoria, ma se il mio cavallo fosse stato battuto, non avrei mai potuto pagare (avevo il conto, a credito, of course, da Ladbrokes, all’epoca, e on the rails c’era il mio grande amico Dickie Gaskell).
La nostra amicizia è continuata fino a circa 10 anni fa quando andai a trovarlo nell’istituto Romano dov’era ricoverato per una grave malattia, purtroppo incurabile.
Mi sono sempre interessato per avere sue notizie, tramite un comune amico, Giorgio Risi, la cui moglie è amica della compagna del cugino di Alberto, un docente universitario che si è occupato di lui per tanti anni, ma nulla ha potuto negli ultimi tempi.
La morte della madre era stato uno choc tremendo per Alberto Lizza che non si era più ripreso.
Alberto avrebbe potuto godersi la pensione e le sue corse per tanti anni ancora, ma il destino è stato crudele, molto crudele.
Ho perso un amico, un grande amico, ma tutti quelli che lo hanno conosciuto e che l’hanno frequentato, hanno perso un amico.
Tutti lo rispettavano per la sua educazione, per la sua competenza e forse tutti lo abbiamo invidiato per come viveva, alla grande con i suoi cavalli di cui sapeva tutto: a Marzo, quando arrivava la nuova edizione di Racehorses of..... (pubblicata dal Timeform), passava le notti a leggere tutti gli articoli.
Un vero gentleman: acquistava le stoffe per i vestiti a Londra, le scarpe se le faceva fare a mano da Gatto, fumava solo sigarette Mercedes, che io dovevo acquistargli al Duty Free di Linate, perché a Roma non c’erano così buone (diceva lui).
Era un raffinato buongustaio e a Londra non ci siamo mai fatti mancare nulla: amava quel Ristorante a Swallow Street, Bentley’s Oyster Bar.
Era oculato nelle scommesse, ha goduto tanto la vita, a modo suo, un “gran modo”, ed è morto male.
Ciao Alberto, non ti dimenticherò mai.
Carlino
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